7.RESILIENZA
Secondo
la psicologia, la resilienza è la
capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di
riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di
ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre,
senza alienare la propria identità.
“Senza alienare la propria identità”... cosa significa alienare la
propria identità?
Significa allontanarsi da ciò che siamo e spesso diventare così
alienati da avere dei comportamenti e degli stili di interazione riconosciuti
dagli altri come non autentici.
Nel libro “Un mondo nuovo”, Eckhart Tolle definisce l’alienazione
il non sentirsi a proprio agio in nessuna situazione, luogo, o in compagnia di
nessun altro, nemmeno di noi stessi. Tentare di andare a “casa” ma non sentirsi
mai a casa. L’ego è un’entità che vuole sempre qualcosa da un altro e
interpreterà un ruolo (o diversi) affinché le sue necessità vengano
soddisfatte. Questi ruoli che inconsapevolmente interpretiamo sono le forme di
alienazione dalla nostra identità a cui accennavamo prima. E cosa dobbiamo fare
per tornare a “casa”? Prendere coscienza e diventare consapevoli dell’Ego e
delle emozioni e pensieri che ci fa credere nostri. E, dopo la presa di
coscienza, diventare Presenti nel solo tempo possibile: Ora!
Anche nel caso di una malattia il nostro ego subisce delle modifiche. Sempre secondo Tolle: “una malattia può rafforzare o indebolire l’ego. Se vi lamentate, vi autocompiangete, o siete risentiti perché siete malati, il vostro ego si rafforza e si rafforza anche nel caso facciate diventare la malattia parte della vostra identità concettuale: “Sono un malato di questa o di quella malattia”. Ah, così adesso sapete chi siete. Alcuni altri, invece, che nella vita normale hanno un grande ego, improvvisamente nella malattia diventano persone molto più piacevoli, gentili e benevoli. Possono avere delle intuizioni che non avrebbero mai avuto in una vita sana. Possono aver acceso alla loro conoscenza e letizia interiori e pronunciare parole di saggezza. Poi, quando si sentono meglio, l’energia ritorna e così fa l’ego. Quando vi ammalate, il vostro livello di energia è piuttosto basso e l’intelligenza dell’organismo può prendere il comando e usare l’energia rimanente per la guarigione del corpo, e così non ne rimane abbastanza per la mente, quindi per il pensiero egoico e per le emozioni. L’ego brucia una quantità considerevole di energia. Anche nel caso di una malattia, l’ego può trattenere la piccola quantità di energia che rimane e usarla per i suoi scopi. Inutile dire che le persone che sperimentano un rafforzamento dell’ego nella malattia, ci mettono molto più tempo a guarire. Qualcuno non guarisce mai e la malattia diventa cronica e parte permanente del loro falso senso del sé”. Un evento traumatico o semplicemente negativo (come lo è anche convivere con una malattia o riceverne diagnosi) è accompagnato da una carica di energia che si genera ed esercita la sua potenza sul nostro corpo e nella nostra mente. Il primo passo verso la resilienza è quello di fermare quell’energia. Non tentare di cambiarla perché questo tentativo ci renderebbe ancor più schiavi di quell’energia. Semplicemente metterla in pausa e adoperarci in altre attività che pian piano “ruberanno” quell’energia trasformandola in potenziale.
Una giovane andò dalla madre
per lamentarsi della sua vita e di come le fosse difficile.
Si sentiva sfiduciata,
quando risolveva un problema se ne presentava subito un altro ed era stanca di
lottare, tanto che credeva di darsi per vinta.
La madre la portò in cucina,
prese tre pentolini, li riempì d’acqua e li pose sul fuoco. Quando l’acqua
incominciò a bollire in uno mise delle carote, nell’altro delle uova e
nell’ultimo dei chicchi di caffè.
Lasciò bollire l’acqua senza
dire una parola, mentre la figlia osservava con impazienza, domandandosi cosa
la madre stesse facendo.
Dopo venti minuti la madre
spense il fuoco.
Tirò fuori le carote e le
mise su un piatto.
Tirò fuori le uova e le mise
in una scodella.
Prese un colino, filtrò il
caffè e lo mise in una tazza.
Guardando la figlia le
disse: “Carote, uova o caffè: cosa scegli?”
La figlia stupita non
rispose e la madre la fece avvicinare.
Le chiese di toccare le
carote, che la ragazza trovò cedevoli, la invitò a rompere un uovo, ormai
diventato sodo e le fece annusare e assaporare la tazza di caffè fumante,
dall’aroma ricco e profumato.
Finalmente la figlia le
domandò: “Cosa significa tutto questo?”
La madre le spiegò che tutte
le cose avevano affrontato la stessa avversità, “l’acqua bollente”, ma avevano
reagito in maniera differente.
La carota, forte e superba,
aveva lottato contro l’acqua, ma era diventata debole e molle.
L’uovo, così fragile nel suo
guscio sottile che proteggeva l’interno liquido e nutriente, si era indurito.
I chicchi del caffè, invece,
avevano fatto il miracolo: dopo essere stati nell’acqua, bollendo, l’avevano
trasformata.
“Cosa scegli di essere,
figlia mia?
Quando l’avversità suona
alla tua porta, come rispondi?
Sei come la carota che
sembra forte, ma quando il dolore ti tocca diventi debole e priva di forza?
Sei come un uovo che nella
sua fragilità nasconde un cuore tenero e un carattere buono, ma che le prove
della vita induriscono? Il guscio sembra sempre lo stesso, ma l’interno è
amareggiato e inaridito.
Oppure sei come un chicco di
caffè, che cambia l’elemento che gli causa dolore e nel punto di ebollizione
raggiunge il suo migliore aroma e sapore? Come un chicco di caffè, proprio
quando le cose ti vanno male puoi reagire in maniera positiva e diffondere con
il tuo atteggiamento “il profumo del caffè” intorno a te”.
E voi come affrontate il
cambiamento?
Come una carota, come un
uovo o come i chicchi di caffè?
Storie di Resilienza:
Rimuginare
Come
abbiamo detto nella storia precedente (Carota, Uovo o Caffè), un evento
traumatico, come lo è anche una malattia cronica o riceverne diagnosi, è
accompagnato da una carica di energia che esercita la sua potenza sul nostro
corpo e la nostra mente.
Per
fermare quell’energia serve tanta consapevolezza.
La
nostra mente è incapace o mancante di volontà nel lasciar andare gli eventi.
Questa
situazione è ben illustrata in una storia[1] di
due monaci zen, Tanzan ed Ekido, che stavano camminando lungo una strada molto
fangosa dopo una forte pioggia.
Vicino
a un villaggio incontrarono una giovane donna che cercava di attraversare la
strada, ma c’era così tanto fango che avrebbe rovinato il kimono di seta che
indossava.
Tanzan,
senza esitazione, la prese in braccio e la portò dall’altra parte.
I
monaci proseguirono in silenzio.
Cinque
ore dopo, nelle vicinanze del tempio che li avrebbe ospitati, Ekido non fu più
capace di trattenersi.
“Perché
hai portato quella ragazza al di là della strada?” chiese. “Si suppone che noi
monaci non facciamo cose simili”.
“Ho deposto la ragazza a terra ore fa” disse Tanzan. “Tu la stai
ancora portando?”
Non essere in grado o non voler lasciar andare internamente le
situazioni, accumulando sempre più cose dentro equivale a costruirsi una
prigione piena di pesanti fardelli da portarsi in giro nella mente.
Restare ancorati ai pensieri negativi, alla perdita, all’irreversibilità, ai sentimenti di impotenza e alle concrete difficoltà, aumenterà quell’energia negativa che non ci permetterà di sviluppare la giusta resilienza che serve a trasformare quell’accaduto in nuove opportunità.
[1]
Ekart Tolle, “Un mondo nuovo”
Storie di Resilienza:
Lasciar Andare
La
natura ci viene incontro con una lezione su come lasciar andare gli eventi e
l’energia ad essi connessa[1].
Due
anatre, dopo uno scontro che non dura mai a lungo, si separano e se ne vanno in
direzioni opposte. Poi ognuna delle due sbatte vigorosamente le ali un paio di
volte e così rilascia il sovrappiù di energia che si era creato durante lo
scontro.
Dopo
aver sbattuto le ali, riprendono a nuotare pacificamente come se niente fosse
successo.
La
lezione che ci forniscono le anatre è questa: sbattiamo le ali.
Questo,
tradotto, vuol dire “lasciamo andare la
storia” e torniamo al solo luogo di potere: il momento presente.
Non
importa se un evento ha sconvolto il nostro equilibrio, ciò che conta è non
diventarne schiavi, non lasciar vivere a quell’evento la nostra vita
identificandoci con esso.
Ciò
che conta è prendere coscienza che quanto accaduto è solo una parte di noi che
col tempo integreremo al resto.
Non
dobbiamo essere impazienti volendo estinguere subito la carica energetica di un
evento, dobbiamo darci il tempo di cambiare destinazione a quell’energia.
Come
ogni cambiamento, anche imparare a convivere con una malattia richiede tempo e
pazienza.
Come
fosse un compagno di avventura, un partner o un collega di lavoro, prima di
avere un’opinione, dobbiamo concederci il tempo della conoscenza.
Ascoltiamo
il nostro corpo e le sue esigenze.
Affidiamoci
alla saggezza delle nostre percezioni e necessità.
Magari scopriremo che anche un’avversità come una malattia cronica può portare del buono nella nostra vita.
[1] Ekart Tolle, “Un mondo nuovo”
Storie di Resilienza:
Relatività, Fede e Curiosità
Imparare
a darsi tempo per trasformare l’energia di un evento traumatico richiede
imparare a non giudicare la realtà.
Un’altra
interessante storia può aiutarci a comprendere come avere un approccio più
neutro e presente nell’unico tempo che possiamo vivere: l’Ora.
“La
più profonda interconnessione di tutte le cose e di tutti gli eventi implica
che l’etichetta o la definizione di bene o di male è, in ultima istanza,
illusoria.
Implica
sempre una prospettiva limitata e quindi è vera solo relativamente e
temporaneamente. Questo è illustrato molto bene nella storia di un uomo saggio
che vinse un’auto di lusso alla lotteria. I suoi amici e la sua famiglia erano
molto contenti per lui e vennero a celebrare l’avvenimento dicendogli quanto
fosse fantastico, quanto fosse stato fortunato.
Ma
l’uomo sorrise e rispose: “Può darsi” e per un paio di settimane si divertì a
guidarla.
Ma un
giorno a un incrocio, un guidatore ubriaco si scontrò con la sua auto nuova e
lui finì in ospedale con ferite multiple.
Sia la
sua famiglia sia gli amici vennero a fargli visita e gli dissero quanto fosse
stato fortunato.
Ma di
nuovo l’uomo sorridendo rispose: “Può darsi”.
Una
notte, mentre si trovava ancora in ospedale, vi fu una frana e la sua casa
scivolò in mare.
E di
nuovo il giorno seguente i suoi amici vennero a dirgli quanto fosse stato
fortunato a essere all’ospedale.
E di
nuovo l’uomo rispose: “Può darsi”.
Quel
“può darsi” di quell’uomo saggio esprime il rifiuto a giudicare qualunque cosa
accada.
Invece
di giudicare si limitava ad accettarla, allineandosi così con un ordine più
alto”[1].
Se
vogliamo tornare Presenti e vivere nell’Ora dobbiamo quindi imparare a non
giudicare la realtà, a non opporre resistenza di fronte ai cambiamenti,
dobbiamo imparare ad accettare ciò che accade e cogliere ciò che ha da
offrirci.
Quindi, non importa se le onde del mare hanno capovolto la barca sulla quale stavamo navigando lungo il nostro viaggio. Non dobbiamo dimenarci cercando di contrastare quelle onde visibilmente più forti di noi. Ciò che importa, ciò che conta è adoperare le nostre forze per risalire su quella barca e riprendere il nostro viaggio.
A cura della Dr.ssa Francesca Nicoletti
psicologa che, dopo aver conseguito un master in PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia), si occupa di sostegno psicologico nella cronicità, psico-educazione, scrive contenuti sulle caratteristiche psicologiche dell’autoimmunità e partecipa a convegni che mostrano spiccato interesse alla cura integrata. Coordina un gruppo di lavoro per l’ordine degli psicologi della Calabria sugli IAA (interventi assistiti con gli animali). Quando non lavora si gode full-immersion negli splendidi paesaggi naturalistici della Calabria in compagnia dei suoi fedeli pelosetti Kimi e Milù. Seguila su Facebook
https://www.facebook.com/psicologafrancescanicoletti
[1]
Ekart Tolle, “Un mondo nuovo”
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